Quaresima – Tempo opportuno per chi e per che cosa?
Il contesto sociale in cui viviamo appare sempre meno contrassegnato dalla cristianità. E’ diminuita drasticamente la pratica cristiana da parte di quanti la vivevano per abitudine, per obbligo. Di questo non ci resta che rallegrarci. Ora ognuno può rispondere, con piena consapevolezza e libero da qualsiasi tipo di condizionamento, all’istanza di conversione che la Chiesa richiama ogni anno nel tempo forte di Quaresima. Un’opportunità rivolta a quanti, nell’oggi della storia e in una società altamente secolarizzata, desiderano vivere una vita cristiana adulta, ricca di valori, coerente con la professione di fede che proclamano. Per questi cristiani la Quaresima, tempo strutturato dalla Chiesa primitiva fin dal IV secolo, si presenta come una sosta nel vivere quotidiano per scoprire quanto, durante il cammino, il fascino di tante sirene hanno allontanato da Dio e reso sterile la novità del Vangelo, e ritornare ad abbeverarsi alle sorgenti della vita nuova ricevuta con il battesimo.
Tempo di Quaresima, allora, per una conversione che raggiunga tutto il nostro essere (mente volontà, cuore) secondo l’invito di san Paolo: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2).
Tempo di Quaresima, per farci prossimo non a parole ma con gesti concreti di carità.
Tempo di Quaresima, come laboratorio e palestra per affinarci nella delicata arte dell’amare, per vivere la “differenza cristiana”, consapevoli che “si è alternativi non quando si grida, ma quando si vive nel quotidiano la passione per ciò che si fa. E’ così che si diventa sale della terra, luce nelle tenebre o pizzico di fermento nella massa” .
Pratiche penitenziali Quali mezzi offre la comunità cristiana, in questo periodo, per permettere a ogni battezzato un cammino di autenticità, di liberazione, di eventuali “correzioni di rotta”? Sono quelle pratiche penitenziali molto care alla grande tradizione biblica, cristiana e patristica della Chiesa e sempre richiamate annualmente nel messaggio del Papa per la Quaresima: il digiuno, la preghiera, l’elemosina, il silenzio, il perdono. Pratiche che racchiudono saggezza secolare, esperienze di vita collaudate, tesori inestimabili, frutti certi per illustrare le quali sono stati versati fiumi di inchiostro in ogni epoca storica.
Digiuno Il digiuno ci prepara alla vita nuova di Cristo. Lavora il campo del nostro corpo per la semina di Dio. La Quaresima vuole rendere il nostro fisico, la nostra anima, la terra intera ricettivi alla vita divina che irromperà a Pasqua e che già possediamo con il battesimo.
Preghiera La preghiera, come il digiuno, è una pratica comune a molte religioni e culture, è iscritta nella stesa natura dell’uomo secondo gli insegnamenti degli antichi: “gli uccelli volano, i pesci nuotano e l’uomo prega”. Ma si rivela anche l’arte più difficile da apprendere perché significa dare del tu a Dio e chiamarlo Padre.
Elemosina È importante, in quaresima, riscoprire il valore dell’elemosina, dell’intervento immediato, che non pretende di risolvere tutto, ma fa quello che è possibile al momento.
Silenzio Senza silenzio non può sussistere la preghiera, non può esistere il digiuno, che lavora il campo del nostro corpo per la semina di Dio; non si possono compiere le opere di misericordia che suppongono un’accoglienza incondizionata dell’altro frutto di una profonda spoliazione di sé che allarga il cuore.
Perdono Chiedere perdono, come anche perdonare, non sono azioni spontanee e naturali; sono valori prettamente cristiani, sono gesti creatori, innovativi che richiedono coraggio. Li possiamo vivere solo se riusciamo a far emergere la vita nuova in noi.
Quaranta giorni
Quaranta giorni per seguirti nel deserto, Signore Gesù; quaranta giorni per imitare un popolo che cerca nella libertà la sua vera identità; quaranta giorni per liberarci da un cristianesimo di facciata, di parata; quaranta giorni per lasciare che la nostra interiorità si arricchisca e si irrobustisca per tornare liberi di amare e di vivere la vita nuova. Quaranta giorni che dureranno una vita.
La pratica dell’elemosinaDa sempre il digiuno, la preghiera e l’elemosina (o opere di misericordia) sono stati considerati come i pilastri della struttura portante della vita spirituale del cristiano e come le tre pratiche penitenziali, tipiche del tempo quaresimale. Sono state pensate insieme come se l’una senza l’altra non potessero sussistere: ”Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia. Queste tre opere, preghiera, digiuno, misericordia sono una cosa sola, e ricevono vita l’una dall’altra” (dai Discorsi di Pietro Crisologo). Essendo dimensioni così vere e profonde della realtà umana è facile riconoscerle presenti anche nelle altre esperienze religiose. Per l’Islam l’elemosina è uno dei cinque precetti (insieme alla preghiera, al digiuno, al pellegrinaggio alla Mecca e al riconoscimento di un solo Dio, Allah).
Anche nel giudaismo precristiano si praticavano diffusamente azioni caritative a favore del prossimo indigente. Basti pensare all’insistenza di prendersi cura degli orfani e delle vedove, di ospitare stranieri e pellegrini. Gli stessi profeti (in particolare Amos e Isaia) pongono la giustizia e la carità come condizioni per offrire sacrifici graditi a Dio. Da qui si deduce che il rapporto con Dio e la cura della propria interiorità non vanno vissuti chiudendosi in sé stessi; non può mancare la dimensione sociale dell’apertura verso gli altri, a cominciare da chi è nel bisogno, superando l’egoismo e l’attaccamento possessivo ai propri beni. Ma proprio qui conviene qualche chiarezza. E’ noto il famoso proverbio cinese: “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”, ma si può parafrase anche in un altro modo, scriveva Giuliana Martirani in un suo libro Il drago e l’agnello (Milano 2001): “All’affamato da’ subito un pesce per sfamarlo, dagli la canna da pesca per pescare domani, ma soprattutto non rubargli più il suo lago”. San Gregorio Magno nella Regola pastorale invitava i pastori a tener presente che: “Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia”.
ll valore di un gesto concretoIlluminante al riguardo alcuni richiami del card. Carlo Maria Martini in una sua lettera pastorale alla Diocesi di Milano dell’anno 1985-
2. L’elemosina è un gesto profetico ed educativo. Proclama che nessuna civiltà terrena, per quanto perfetta, può risolvere tutti i problemi. Solo Dio, con la venuta finale del suo Regno, tergerà ogni lacrima e farà cessare ogni lutto, pianto e dolore. In questa luce l’elemosina ci educa ad avvicinarci ai fratelli con molta umiltà, non sentendoci superiori a loro, ma chiedendo scusa perché riusciamo a fare così poco. Inoltre ci educa a capire il vero valore della carità: essa vale per se stessa, non soltanto o soprattutto per i frutti che produce”
Non semplice filantropiaUn invito chiaro a non sottovalutare l’elemosina ma a riscoprirla come strada che ci porta a Dio secondo i ragionamenti molto semplici dei padri della chiesa: “se è difficile amare Dio proviamo a far del bene al prossimo per andare incontro a Dio”. Ciò che si è detto sui bisogni materiali può essere applicato ai bisogni spirituali, culturali, etici dell’uomo e della donna di oggi. “L’elemosina non è semplice filantropia: è piuttosto un’espressione concreta della carità, virtù teologale che esige l’interiore conversione all’amore di Dio e dei fratelli, ad imitazione di Gesù Cristo, il quale morendo in croce donò tutto se stesso per noi” (Benedetto XVI).