Inizia la parte delle parabole, alcune proprie di Luca, che esaltano il tema della misericordia. Dinanzi a Gesù, i pubblicani e i peccatori (qui addirittura sarebbero “tutti”). Basterebbe questo pensiero a colmare il cuore: tutti i pubblicani e i peccatori “si avvicinavano a lui per ascoltarlo”. È il riconoscimento della sua signoria, ma anche la ragione della diffamazione e del rifiuto dei farisei e degli scribi.
La prima parabola, così potente da spiegare in poche parole tutto il senso della storia della salvezza parte con una domanda ironica. Infatti nessuno lascerebbe novantanove pecore – nel deserto! – per cercarne una sola che si è persa. Dio, sì! Perché Lui, il Pastore, l’ha perduta. Dio si coinvolge nel dramma umano perché noi siamo la creatura di Dio amata e perduta. È lui a cercare la pecora “fino a che non la trova”! Questa è la misura del rapporto tra Dio e il peccatore. Infine la gioia del pastore è di tutti e di tutto il cielo. Alla fine della perdizione non c’è un tribunale, ma una festa. Ancora una sottile ironia: la festa è per un solo e per di più chi ha fatto tutto è il pastore.
Dio non teme di paragonarsi persino a una donna di casa che accende una lampada e cerca con cura una sola moneta. Si può dire che anche il vero lavoro da fare nella casa del Signore non è quello che elimina lo sporco, ma quello che ritrova tutti i suoi figli perduti. Per ritrovarli ci vuole una lampada: la vita nuova dei figli; l’occhio che tutto vede nella luce della misericordia divina.
Restano i novantanove giusti che non bisognano di conversione. Chi sono? Forse anche questo è un segno po’ ironico, come richiamo ad una ricerca personale; forse tutte e cento sono pecore perdute.
Dopo le parabole della pecora e della moneta, viene quella del rapporto fra un padre e un figlio che si separa e pensa di aver consumato la sua figliolanza, infatti considera i salariati più fortunati di lui. Il padre continua a chiamarlo figlio. Sconvolge un padre che si fa più piccolo dei due figli. Questi, invece, si mostrano piuttosto come servi. Anche la festa finale mostra la sproporzione del cuore del padre, non è frutto del ritorno dei figli.
La misericordia di Dio è un mistero incomprensibile. Mentre il minore si lascia festeggiare, il maggiore entra in crisi perché ha un cuore diverso dal padre. Gli manca anche quello sguardo capace di perdonare da molto lontano. Il figlio maggiore ha diverse ragioni per considerare malizioso il fratello minore e ingenuo il padre. In realtà, la misericordia ha tutte le ragioni solo in se stessa e solo chi ha coscienza del proprio peccato ne avverte il bisogno.
Dio non ci ama perché siamo bravi, ma perché siamo suoi figli. Se il valore di una cosa si scopre nella sua perdita; il nostro si è svelato nella morte di Dio per amore. Un valore smisurato perché pari all’amore incommensurabile. È bello pensare che questa parabola non parli della conversione del peccatore alla giustizia, ma del giusto alla misericordia, perché la radice del peccato è la cattiva opinione sul Padre.