In questa sezione puoi trovare una serie di schede per i ragazzi sugli episodi del Vangelo. Ogni scheda contiene il brano evangelico, preceduto da una breve introduzione, e seguito da un piccolo esercizio e un approfondimento sui concetti o le parole chiave trovate nel brano.
1. la creazione e la storia di Noè
Dio crea il mondo
In principio Dio creò il cielo e la terra. Il mondo era deserto e vuoto. Ma poi Dio disse: «Vi sia la luce!». E apparve le luce. Dio vide che la luce era buona e chiamò la luce Giorno e le tenebre Notte.
Dio disse: «Vi sia un grande arco. Divida la massa delle acque». Separò le acque di sotto dalle acque di sopra. Dio chiamò il grande arco Cielo.
Dio disse: «Siano raccolte in un unico luogo le acque che sono sotto il cielo e appaia l’asciutto».
E così avvenne. E Dio chiamò l’asciutto Terra e chiamò le acque Mare. E Dio vide che era buono. Poi Dio disse: «La terra si copra di verde, produca piante con il proprio seme e ogni specie di albero da frutta con il proprio seme». E così avvenne. E Dio vide che era buono.
Dio disse: «Vi siano luci nella volta del cielo per distinguere il giorno dalla notte». E così avvenne. Dio fece due grosse luci: la più grande per il giorno, la più piccola per la notte. E poi le stelle. E Dio vide che era buono. Dio disse: «Le acque producano pesci, sulla terra e nel cielo volino gli uccelli». E Dio vide che era buono. Dio li benedisse: «Siate fecondi, diventate numerosi e popolate le acque dei mari. E anche gli uccelli si riproducano sulla terra».
Dio disse: «Produca la terra varie specie di animali: domestici, selvatici e quelli che strisciano».
E così avvenne. Dio fece questi animali secondo la loro specie. E Dio vide che era buono.
Dio disse: «Facciamo l’uomo. Sia simile a noi, sia la nostra immagine. Dominerà sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, sugli animali selvatici e su quelli che strisciano al suolo».
Dio creò l’uomo simile a sé, lo creò a immagine di Dio, maschio e femmina li creò. Li benedisse con queste parole: «Siate fecondi, diventate numerosi, popolate e governate la terra».
Dio disse: «Vi do tutte le piante con il proprio seme, tutti gli alberi da frutta con il proprio seme. Così avrete il vostro cibo». E così avvenne. E Dio vide che tutto quel che aveva fatto era davvero molto buono. Così Dio completò il cielo e la terra e ciò che vi si trova: tutto era in ordine.
Il settimo giorno, terminata la sua opera, Dio si riposò, e quel giorno contemplò ciò che aveva fatto.
Dio benedisse il settimo giorno e disse: «Lo metto da parte per me!». Quel giorno si riposò dal suo lavoro: tutto era creato.
Il giardino dell’Eden
Dio chiamò il primo uomo Adamo e la prima donna Èva e offrì loro un bellissimo giardino in cui abitare: l’Eden. L’uomo e la donna potevano mangiare tutti i frutti di quel giardino, tranne quelli di un albero, quello della conoscenza del bene e del male. Il serpente però disse a Èva: «Non ascoltare le parole di Dio! Il frutto di quell’albero vi farà diventare sapienti come lui!».
Adamo ed Èva disobbedirono a Dio. Presto si resero conto di aver sbagliato e si incolparono a vicenda. Dio era molto dispiaciuto per ciò che era accaduto. Adamo ed Èva dovettero andare via dal giardino.
Il primo giorno triste
Dopo essere stati cacciati dall’Eden, Adamo ed Eva dovettero lavorare duramente per guadagnarsi da vivere. Ebbero due figli: Abele, che diventò pastore, e Caino, che svolgeva l’attività di agricoltore.
Abele era buono e generoso. Offriva sempre a Dio i suoi agnelli migliori. Caino non era altrettanto buono e Dio non gradiva i suoi doni.
Caino era invidioso di suo fratello e decise di sbarazzarsi di lui. Lo attirò in aperta campagna con uno stratagemma e lo uccise. Dio condannò quel terribile misfatto. «Ma che hai fatto? Dalla terra il sangue di tuo fratello mi chiede giustizia. Ora tu sei maledetto, respinto dalla terra bagnata dal sangue di tuo fratello.
Quando la coltiverai non ti darà più le sue ricchezze. Sarai vagabondo e fuggiasco».
Caino visse lontano da Dio e dalla sua famiglia, in una terra desolata. Dopo quel tragico fatto, Adamo ed Eva ebbero un altro figlio, che chiamarono Set.
Noè e l’arca
Tanto tempo dopo, le persone si erano ormai dimenticate di Dio e vivevano come se lui non esistesse. Non erano nemmeno buoni e generosi fra di loro.
Un uomo, però, continuava a essere amico di Dio e ad ascoltarlo. Il suo nome era Noè.
Dio desiderava ricominciare da capo con la creazione, ma voleva che la fede e la bontà di Noè fossero premiate. Per questo, un giorno, Dio disse a Noè: «Sono stanco di vedere il male dilagare. Sterminerò ogni essere vivente per togliere di mezzo tutta questa cattiveria. Presto farò cadere una pioggia incessante, che sommergerà tutto. Solo tu ti salverai, insieme ai tuoi familiari e una coppia di ogni specie di animali. Devi costruire una grande barca, nella quale entrerete tutti».
Noè obbedì a Dio. Cominciò a piovere e per quaranta giorni e quaranta notti cadde tanta acqua sulla terra. Noè e la sua arca vagavano senza meta.
Finalmente, Dio fece cessare la pioggia e mandò un forte vento. Qiorni dopo, Noè mandò fuori dall’arca una colomba, che tornò con un ramo di olivo nel becco: era la prova certa che, da qualche parte, c’era terra ferma. Comparve poi in cielo un luminoso arcobaleno e Dio disse: «Non scatenerò mai più un altro diluvio come questo. L’arcobaleno è il segno visibile di questa promessa, che non dimenticherò mai».
La Torre di Babele
All’inizio, tutte le persone del mondo parlavano la stessa lingua. Gli uomini emigrarono per cercare un posto in cui stabilirsi. Trovarono una pianura e si dissero l’un l’altro : «Forza! Prepariamo dei mattoni e cuociamoli al fuoco!».
Quando ebbero mattoni a sufficienza, usarono bitume per unirli. Cominciarono a costruire la loro città. «Faremo una torre alta fino al cielo!», dissero.«Così diventeremo famosi e non saremo dispersi in ogni parte del mondo».
Dio però vide che cosa stavano progettando. Sapeva che si stavano dimenticando di Lui e del modo in cui voleva che vivessero. Allora Dio confuse la loro lingua. Gli uomini non riuscivano più a capirsi! Sembrava che ognuno farfugliasse. Dio li disperse in tutto il mondo. Conservò quelli che lo amavano e le generazioni di famiglie da cui sarebbe nato il Messia.
2. la storia di Abramo e di Isacco
Dio chiama Abramo
Abramo era un uomo ricco: aveva molte pecore, capre e cammelli con cui si spostava continuamente alla ricerca di pascoli. Per questo, non aveva una casa in muratura, ma una tenda. Lui e sua moglie Sara non avevano figli e ne erano molto dispiaciuti.
Abramo amava Dio e gli obbediva in tutto. Una notte, sentì una voce che gli disse: «Parti e va’ nel paese lontano che io ti indicherò. I tuoi discendenti saranno più numerosi delle stelle che brillano in cielo».
Abramo obbedì. Un giorno, tre uomini mandati da Dio si avvicinarono alla sua tenda. Abramo e Sara furono molto ospitali nei loro confronti. Prima di andare via, uno di quegli uomini sconosciuti disse ad Abramo: «lo ritornerò da te l’anno prossimo e allora tua moglie Sara avrà un figlio».
Accadde proprio questo: l’anziana coppia ricevette il dono di un figlio, a cui fu imposto il nome di Isacco, che significa «il sorriso di Dio».
Dio chiede una grande prova ad Abramo
Isacco era ormai diventato un bel giovane, quando Dio disse ad Abramo: «Prendi il tuo unico figlio, che ti è tanto caro, e offrilo a me in cima al monte che ti mostrerò». Abramo non chiese spiegazioni, perché si fidava di Dio. Senza esitare, si avviò insieme a Isacco verso il monte che Dio gli aveva indicato.
Là, si preparò a sacrificare il suo unico figlio. Proprio in quel momento, un angelo gli gridò dal cielo: «Àbramo, non fare del male a tuo figlio! Adesso infatti so che tu temi Dio». Abramo alzò gli occhi e vide un montone, che aveva le corna impigliate in un cespuglio. Allora Abramo prese il montone e lo sacrificò al posto di Isacco. Sentì allora di nuovo la voce dell’angelo, che gli disse da parte di Dio: «Tu per amor mio non avresti risparmiato il tuo unico figlio. Perciò io ti benedirò e renderò i tuoi discendenti numerosi come le stelle del cielo».
Dopo questi avvenimenti, Abramo e Isacco tornarono a casa da Sara.
Isacco e Rebecca
Abramo era ormai diventato molto anziano e sapeva che era importante che suo figlio si sposasse e avesse una famiglia. Chiamò allora un suo servitore e gli raccomandò di recarsi nella sua terra di origine a cercare una moglie per Isacco. Il servo partì e, quando giunse a destinazione, si fermò al pozzo, all’ora in cui le donne andavano ad attingere acqua. Pregò Dio di aiutarlo a incontrare la ragazza giusta per Isacco e poco dopo arrivò al pozzo la giovane Rebecca. Il servo le chiese da bere e Rebecca gli offrì acqua e attinse anche per i suoi cammelli. L’uomo, allora, le offrì un anello e due braccialetti d’oro. Rebecca ne fu molto sorpresa. Quella sera, l’uomo fu ospite a casa di Rebecca. Parlò a suo padre di Abramo, confidò che gli era stato affidato Lincarico di cercare una moglie per Isacco e chiese la mano di Rebecca. Il padre e il fratello della giovane gli risposero: «Se così vuole il Signore, noi non possiamo dirti né sì né no. Ecco, Rebecca è qui davanti a te…».
Rebecca accettò di sposare Isacco e partì insieme al servo.
3. la storia di Giacobbe e di Esaù
Fratelli gemelli, ma molto diversi
Per molti anni Rebecca non potè avere figli. Insieme a suo marito Isacco, pregò tanto il Signore e fu esaudita. Diede alla luce due gemelli, Esaù e Giacobbe. Esaù amava andare a caccia, mentre Giacobbe preferiva rimanere a casa. A Esaù spettavano i diritti di primogenito, che il padre avrebbe dovuto trasmettergli.
Un giorno, mentre Esaù era fuori a caccia, Giacobbe preparò una minestra di lenticchie. Quando Esaù tornò a casa affamato, chiese al fratello un po’ di minestra. Giacobbe gli rispose: «Te ne do solo se mi cedi prima i tuoi diritti di primogenito». Esaù gli rispose: «Va bene! lo sto per morire di fame. Che me ne faccio dei miei diritti di primogenito?». Soltanto allora Giacobbe diede al fratello pane e minestra di lenticchie.
Tempo dopo, si presentò per Giacobbe l’occasione di realizzare il suo piano. Isacco chiese a Esaù di andare a catturare un po’ di selvaggina e poi di preparargli un piatto saporito, «lo lo mangerò e poi ti darò la mia benedizione», concluse. Rebecca, che prediligeva Giacobbe, aveva ascoltato quello che Isacco aveva detto a Esaù. Perciò, quando egli se ne andò a caccia in cerca di selvaggina da portare a suo padre, disse a Giacobbe: «Va’ subito al gregge e prendimi due bei capretti, lo cucinerò per tuo padre un piatto di suo gusto. Lo porterai a tuo padre e lui darà a te la sua benedizione». Rebecca invitò suo figlio a ricoprirsi le mani e il collo con la pelle dei capretti, per sembrare peloso come suo fratello Esaù. Così Giacobbe ingannò suo padre. Quando Esaù comprese di essere stato defraudato dei diritti di primogenito che gli spettavano, si adirò moltissimo e meditò di vendicarsi.
Giacobbe in fuga
Giacobbe temeva l’ira di Esaù e, su consiglio di sua madre Rebecca, fuggì lontano, diretto da suo zio Labano. Per raggiungere la sua meta, dovette attraversare un deserto. Temendo di essere raggiunto da suo fratello, adirato contro di lui, corse per tutto il giorno. La sera era ormai esausto. Prese una pietra, se la pose sotto il capo come guanciale e si coricò. Si addormentò subito e fece un sogno singolare: una scala poggiava a terra e la sua cima raggiungeva il cielo, su di essa salivano e scendevano angeli di Dio.
Giacobbe alzò gli occhi al cielo, vide una luce brillante e sentì una voce che diceva: «Io sono il Signore, il Dio di Abramo e di Isacco, tuo padre.
Darò a te e ai tuoi discendenti la terra sulla quale sei coricato. Tutti i popoli della terra saranno benedetti attraverso di te».
Giacobbe si riconcilia col fratello Esaù
Passarono molti anni. Giacobbe era ormai diventato ricco e aveva una numerosa discendenza, quando decise di tornare nella sua terra di origine. Temeva la reazione di suo fratello Esaù, perché sapeva che l’ira di suo fratello era giustificata. Quando era quasi arrivato a destinazione, mandò alcuni messaggeri da Esaù, dicendo loro di riferirgli che desiderava incontrarlo. Il giorno dopo, avvenne l’incontro tra i due fratelli, che furono felici di riabbracciarsi dopo essere stati lontani per tanto tempo.
Giuseppe odiato dai suoi fratelli
Giacobbe ebbe 12 figli. I due più giovani si chiamavano Giuseppe e Beniamino. Giacobbe preferiva Giuseppe a tutti gli altri figli e gli fece fare una tunica variopinta. Perciò gli altri fratelli ne divennero invidiosi.
Quando un giorno i fratelli commisero qualche cosa di molto cattivo, Giuseppe lo riferì al padre. Da allora cominciarono ad odiarlo.
A peggiorare la situazione, Giuseppe cominciò a raccontare che faceva strani sogni.
«Al tempo della mietitura, noi stavamo legando covoni di grano nei campi. A un tratto il mio covone si alzò e rimase dritto in piedi, mentre tutti i vostri si misero attorno al mio egli si inchinarono davanti».
Ai fratelli di Giuseppe questo sogno non piacque. E non apprezzarono nemmeno il sogno successivo.
«Ho fatto un altro sogno!», disse Giuseppe. I suoi fratelli borbottarono. «Il sole, la lune e undici stelle si inchinavano fino a terra dinanzi a me». I fratelli di Giuseppe non volevano che lui fosse più importante di loro. Cominciarono a pensare un modo per sbarazzarsi di lui.
Giuseppe venduto dai suoi fratelli
Un giorno i fratelli si erano allontanati molto con il gregge. Il padre disse a Giuseppe: «Va’ a vedere se i tuoi fratelli stanno bene!». Giuseppe andò. Quando i fratelli lo videro da lontano si dissero l’un l’altro: «Uccidiamolo! Poi diremo: Una belva lo ha sbranato». Ma Ruben disse: «Non lo uccidete! Gettatelo piuttosto in questo pozzo!». Appena Giuseppe arrivò presso i fratelli, gli strapparono la tunica variopinta e lo buttarono nel pozzo. Poi si sedettero a mangiare. Presto però videro venire dei mercanti stranieri. Giuda disse ai suoi fratelli: «Che ci guadagniamo a uccidere nostro fratello? Vendiamolo piuttosto». I fratelli tirarono fuori Giuseppe dal pozzo e lo vendettero per 20 monete d’argento. Poi raccontarono al padre che una belva lo aveva sbranato.
Giuseppe finisce in prigione e spiega i sogni
I mercanti portarono Giuseppe in Egitto. Ma per vendetta la sua padrona lo fece finire in prigione. Il capo carceriere prese a benvolere Giuseppe e lo mise a capo di tutti i prigionieri. Giuseppe riuscì a interpretare i sogni di due personaggi della corte del Faraone.
Due anni dopo anche il Faraone ebbe un sogno.
Sognò: sette splendide mucche grasse uscivano dal Nilo. Poi vennero sette brutte mucche magre e mangiarono le sette mucche grasse. Il re si svegliò.
Si riaddormentò di nuovo ed ebbe un altro sogno: sette splendide spighe piene crescevano su uno stelo. Poi spuntarono sette spighe vuote e divorarono le spighe belle.
Allora fecero chiamare Giuseppe che spiegò il significato dei sogni: «Le sette mucche grasse e le sette spighe piene significano sette anni di abbondanza. Le sette mucche magre e le sette spighe vuote significano sette anni di carestia. Dapprima verranno sette anni di abbondanza in tutto l’Egitto. Poi arriveranno sette anni di fame. Perciò cercati un uomo saggio! Costui dovrà nei sette anni di abbondanza raccogliere il grano che sopravanza e metterlo da parte per i sette anni di fame».
Questo consiglio piacque al re. Disse a Giuseppe: «lo non posso trovare nessuno che sia intelligente e saggio come sei tu. Ti metto a capo di tutto l’Egitto». Quando arrivarono gli anni di carestia, Giuseppe aprì tutti i magazzini. Da tutte le regioni venne gente in Egitto per comperare grano.
I fratelli di Giuseppe scendono in Egitto
Anche nella terra di Canaan venne la fame. Perciò Giacobbe mandò i suoi figli in Egitto a comperare grano. I fratelli arrivarono contenti in Egitto. Furono condotti dinanzi a Giuseppe e si inchinarono dinanzi a lui fino a terra. Giuseppe li riconobbe subito, essi però non lo riconobbero.
Ma Giuseppe non potè frenarsi più a lungo. Piangendo disse: «lo sono Giuseppe, vostro fratello, che voi avete venduto. Vive ancora mio padre?». I fratelli dal terrore non riuscivano a rispondergli. Giuseppe parlò a loro familiarmente e disse: «Non abbiate paura! Dio mi ha mandato in Egitto e mi ha messo a capo di tutta questa terra. Tornate presto da mio padre e portatemelo qui! lo mi prenderò cura di voi, perché ancora cinque anni durerà la fame».
Giacobbe scende in Egitto
Giacobbe scese in Egitto con tutto ciò che aveva.
Giuseppe condusse suo padre e i suoi fratelli dal faraone. Questi disse: «Falli abitare nella parte migliore del paese!».
Quando Giacobbe morì, i fratelli ebbero molta paura. Essi pensavano che Giuseppe si sarebbe vendicato del male che gli avevano fatto. Perciò vennero da lui e gli chiesero perdono.
Giuseppe disse: «Non abbiate paura! Dio ha ricavato il bene dal male, lo mi prenderò cura di voi e dei vostri figli».
Quando venne la sua fine, Giuseppe disse ai fratelli: «Dio vi condurrà di nuovo nella terra di Canaan. Allora porterete le mie ossa con voi!».
Mosè viene salvato da morte
I discendenti di Giacobbe divennero un grande popolo in Egitto. Poiché Giacobbe aveva ricevuto da Dio il nome di Israele, essi si chiamarono figli di Israele, oppure Israeliti. Dagli altri popoli furono chiamati Ebrei.
E sorse un nuovo re in Egitto che non sapeva più niente di Giuseppe. Costui perseguitò i figli di Israele. Egli faceva fare loro pesanti lavori nella costruzione di edifici e nei campi. Alla fine dette l’ordine: «Tutti i fanciulli israeliti, dovranno essere buttati nel Nilo subito dopo la loro nascita».
Una mamma israelita ebbe allora un figlio. Lo tenne nascosto per tre mesi. Ma siccome non poteva nasconderlo più a lungo, prese una cesta di vimini e la spalmò di bitume e di pece. Vi mise dentro il figlio e depose la cesta fra i giunchi sulla riva del fiume. La sorella del bimbo stava all’erta da lontano. Voleva vedere ciò che sarebbe successo.
Ed ecco venne la figlia del re e vide il cesto tra i giunchi. Ordinò a una serva di prenderlo. Quando l’aprì vide che c’era dentro un bimbo che piangeva. Piena di compassione disse: «Questo è uno dei bimbi degli Ebrei». La sorella del bimbo corse e chiese: «Vuoi che io chiami una donna ebrea perché essa ti allevi il bimbo?». La figlia del re rispose: «Va’ pure». La bimba allora andò a chiamare sua madre.
Questa allevò il piccolo. Quando fu cresciuto, lo portò alla figlia del re. La figlia del re lo adottò come figlio e disse: «Si chiamerà Mosè», che vuol dire: salvato dall’acqua.
Dio manda Mosè a liberare gli Israeliti
Quando Mosè divenne adulto, abbandonò il palazzo del re e tornò fra gli Israeliti. Li aiutava al lavoro e li difendeva di fronte agli Egiziani. Il re lo venne a sapere e cercò di ucciderlo. Perciò Mosè fuggì in una terra straniera. Lì custodiva il gregge.
Un giorno Mosè con le sue pecore andò lontano, nel deserto.
Gli apparve il Signore in una fiamma di fuoco che si sprigionava da un roveto. Il roveto ardeva, ma non si consumava. Quando Mosè si avvicinò, Dio gli disse: «Mosè, Mosè! Non venire vicino! Levati i calzari, perché il luogo dove tu stai è terra santa». Allora Mosè si coprì il volto. Non osava guardare Dio.
Dio disse: «lo ho visto la miseria del mio popolo. Io voglio liberarlo e condurlo in una terra ove scorre latte e miele. Tu guiderai il mio popolo fuori dall’Egitto! lo sarò con te». Mosè andò in Egitto. Per ordine di Dio gli venne incontro suo fratello Aronne. Mosè gli raccontò tutto.
Mosè conduce gli Israeliti fuori dall’Egitto
Mosè e Aronne andarono dal re e gli dissero: «Il Dio d’Israele ti manda a dire: Lascia uscire il mio popolo!». Ma il re non voleva. Ordinò anzi che gli Israeliti soggiacessero a pesi maggiori. Perciò Dio lo colpì con molte piaghe. Il fiume si trasformò in sangue, il territorio fu infestato da rane, zanzare, tafani; tutti gli animali degli Egiziani si ammalarono e morirono, le persone furono afflitte da ulcere della pelle, la grandine imperversò, le cavallette distrussero tutto il raccolto e l’Egitto fu immerso nell’oscurità. Ma il re rimaneva duro. Allora Mosè e Aronne radunarono il popolo e dis sero: «Nel quarantesimo giorno di questo mese, ogni capo famiglia ammazzerà un agnello senza mac chie. Non spezzerete all’agnello nessun osso. Il san gue lo spruzzerete sulle vostre porte; la carne la abbrustolirete e la mangerete nella stessa notte e per di più mangerete pane azzimo. In questa notte Dio passerà sulla terra di Egitto, e ucciderà tutti i primogeniti degli Egiziani. Però risparmierà voi, e anche quest’ultima piaga non vi colpirà».
Gli Israeliti fecero come Dio aveva comandato. A mezzanotte il Signore uccise tutti i primogeniti degli Egiziani. Non c’era casa in cui non ci fosse un morto.
Durante la notte il re fece chiamare Mosè ed Aron ne e disse loro: «Uscite dalla mia terra e pregate per me!».
Allora tutti gli Israeliti con tutti i loro averi usciro no dalla terra d’Egitto.
Mosè disse loro: «Questo giorno ogni anno lo festeggerete come giorno festivo! In più, anche tra di voi i figli primogeniti saranno consacrati al Si gnore!».
Gli Israeliti attraversano il Mar Rosso
Dio precedeva gli Israeliti e insegnava loro la strada, di giorno con una colonna di nubi, di notte con una colonna di fuoco. Così giunsero al Mar Rosso e vi si accamparono.
Presto il re si pentì di aver lasciato andar via gli Israeliti. Fece preparare i suoi carri e li lanciò all’inseguimento degli Israeliti con tutto il suo esercito. Al Mar Rosso essi li raggiunsero. Allora gli Israeliti ebbero grande spavento e pregavano il Signore.
Ma Mosè disse: «Non abbiate paura! Il Signore combatterà per voi». La colonna di nubi si alzò e si frappose fra gli Egiziani e gli Israeliti. Dio dette ordine a Mosè: «Stendi la tua verga sul mare». Mosè obbedì. Allora le acque si tirarono da parte e si sollevarono ai due lati come una muraglia. Gli Israeliti passarono a piedi asciutti.
Al mattino gli Egiziani si lanciarono dietro di loro. Quando furono in mezzo al mare, disse il Signore a Mosè: «Stendi la tua mano sul mare». Mosè lo fece. Le acque sospese ritornarono di nuovo insieme e sommersero tutti i carri e i cavalieri del re. Così Dio salvò gli Israeliti dalla violenza degli Egiziani. E il popolo temette Dio e lo ringraziò.
Dio procura agli Israeliti nel deserto da mangiare e da bere
Dal Mar Rosso gli Israeliti si addentrarono nel deserto e lì non trovarono da mangiare e da bere. Perciò divennero malcontenti e mormorarono. Dio disse loro: «Questa sera avrete carne da mangiare e al mattino vi sazierete di pane. Così conoscerete che io sono il Signore!». Quando venne sera, ecco che delle quaglie si abbatterono al suolo e ricoprirono il terreno dell’accampamento.
Al mattino gli Israeliti trovarono la terra cosparsa di chicchi bianchi e sottili, come di neve. Chiesero: «Che cosa è questo?».
Mosè spiegò: «Questo è il pane che il Signore vi dà da mangiare». Essi lo chiamarono manna. Aveva sapore come di farina con miele. Gli Israeliti mangiarono la manna per quarant’anni, finché giunsero nella terra di Canaan.
Un’altra volta si trovarono a non aver più acqua. Allora il Signore disse a Mosè: «Prendi la tua verga e batti la roccia: ne zampillerà acqua».
E così avvenne.
Dio dà i dieci comandamenti
Nel terzo mese dopo l’uscita dall’Egitto, gli Israeliti giunsero al monte Sinai.
Si accamparono di fronte al monte.
Mosè salì sul monte.
Il Signore gli disse: «Ordina al popolo: Lavatevi le vesti! Fra due giorni preparatevi! Quando squilleranno le trombe, tutti dovranno venire al monte!».
Mosè fece come il Signore gli aveva comandato.
Al mattino del terzo giorno cominciò a tuonare e lampeggiare.
Una nuvola scura era stesa sul monte, le trombe squillavano forte. Tutto il popolo fu scosso dal terrore.
Mosè condusse gli Israeliti ai piedi del monte.
Dio allora parlò:
«lo sono il Signore Dio tuo.
1. Non avrai altro Dio fuori di me!
2. Non nominare il nome di Dio invano!
3. Ricordati di santificare il sabato!
4. Onora il padre e la madre!
5. Non uccidere!
6. Non commettere atti impuri!
7. Non rubare!
8. Non dire falsa testimonianza!
9. Non desiderare la donna d’altri!
10. Non desiderare la roba d’altri!».
Gli Israeliti erano impauriti e tremavano. Dissero: «Tutto ciò che il Signore ha comandato lo ricorderemo e lo metteremo in pratica». Mosè salì di nuovo sul monte e rimase lì quaranta giorni e quaranta notti. Poi Dio gli diede due tavole di pietra su cui erano scolpiti i dieci comandamenti.
Sul monte Sinai il Signore parlò a Mosè: «Voi dovrete costruirmi un santuario! lo voglio abitare in mezzo a voi». Allora Mosè per mezzo di artisti fece preparare una grande tenda di splendide stoffe con sostegni di legno dorato: il santo tabernacolo. Quando gli Israeliti si spostavano, smontavano la tenda sacra e la portavano con sé.
Essa aveva due parti: il santuario e il Santo dei Santi. Nel Santo dei Santi stava l’arca dell’alleanza, in cui erano conservate le due tavole di pietra della legge. Nel santuario stava l’altare dell’incenso. Davanti alla tenda c’era un cortile, dove si trovava l’altare del sacrificio.
Dio istituisce il sacerdozio
Il Signore parlò a Mosè: «Aronne e i suoi figli mi serviranno come sacerdoti!». Allora Mosè consacrò suo fratello Aronne a sommo sacerdote. I figli di Aronne e i loro discendenti furono scelti come sacerdoti.
I sacerdoti dovevano offrire a Dio i sacrifici. Generalmente venivano offerti animali. Venivano uccisi e la carne veniva bruciata sull’altare nell’atrio. Dopo 40 anni gli Israeliti giunsero in Canaan. In quella terra fissarono la loro dimora.
6. le storie da Giosuè a Rut
La storia di Giosuè
Per il popolo di Dio, gli Israeliti, era finalmente arrivato il momento di entrare nella terra promessa. Dio parlò così a Giosuè, la loro guida: «Quando il popolo vedrà le opere meravigliose che compirò attraverso di te, saprà che sei il mio servo». Giosuè fece tutto ciò che il Signore gli disse.
Prima ordinò ai sacerdoti di portare l’arca dell’alleanza sulle rive del fiume Giordano, e, appena i sacerdoti misero i piedi nell’acqua, il fiume smise di scorrere e comparve terra asciutta. Poi tutti procedettero in sicurezza.
Quando Giosuè si avvicinò a Gerico, incontrò un uomo con una spada sguainata. Il riflesso del sole sulla spada era abbagliante, tanto che Giosuè si riparò gli occhi. «Sei dalla nostra parte o da quella dei nostri nemici?», gli chiese Giosuè.«lo sono qui per comandare l’esercito del Signore», disse l’uomo.
Allora Giosuè si impaurì. «Che messaggio porti al tuo servo?», gli chiese. «Ho posto tutta Gerico sotto il tuo potere: il suo re, i suoi soldati e tutti i suoi abitanti. Tu devi fare questo: prendi con te i tuoi uomini armati e marcia una volta intorno alla città».
L’uomo indicò Gerico, con le sue alte mura di pietra. Sembrava impossibile distruggerle.
«Di’ a sette sacerdoti di marciare con i tuoi uomini, ognuno dei quali dovrà suonare la tromba, devono portare con sé l’arca dell’alleanza. Compite un giro di marcia al giorno, per sei giorni. Il settimo giorno, marciate intorno alla città per sette volte. All’ultimo squillo di tromba, gli Israeliti dovranno urlare con tutte le loro forze». Giosuè impartì al popolo l’ordine che gli era stato dato, e tutti gli obbedirono senza obiettare. Nessuno degli Israeliti cercò di entrare in città, sguainò una spada o scoccò una freccia. Si limitarono a marciare e a suonare le trombe.
Il secondo giorno, marciarono di nuovo, e così il terzo, il quarto, il quinto e il sesto giorno. Infine, il settimo giorno fu intonato l’ultimo squillo di anni prima, si sgretolarono e crollarono con un boato, mentre la polvere si innalzava al cielo.
La vittoria di Gedeone
A Giosuè succedette Gedeone, un valoroso condottiero d’Israele. Sapeva che Dio era al suo fianco e lo avrebbe aiutato a sconfiggere l’esercito dei Madianiti.
Diede a ogni soldato una tromba e una brocca con dentro una torcia. Dichiarò al suo esercito: «Dobbiamo fare così: quando arriveremo ai lati dell’accampamento, guardatemi e fate ciò che faccio io. Quando suonerò la tromba, cominciate a suonare anche voi e gridate: Per il Signore e per Gedeone!».
Gedeone e i suoi uomini arrivarono ai lati dell’accampamento nel cuore della notte. Tutti ruppero la brocca che avevano, ognuno afferrò la propria tromba e gridò: «Per il Signore e per Gedeone!».
L’esercito nemico fuggì! Dio aveva aiutato Gedeone a vincere la battaglia.
La storia di Sansone
I Filistei erano un nemico terribile che veniva dal mare. Cominciarono a tormentare gli Ebrei che, nel frattempo, si erano di nuovo adattati alle divinità straniere e il Signore pensò che avessero bisogno di un’altra piccola sveglia. Così mandò loro Sansone. Il messaggero del Signore aveva detto a sua madre:
«Avrai un figlio maschio. I capelli non dovranno essere tagliati mai, perché fin da oggi sarà nazireo, cioè consacrato a Dio. Quella capigliatura bella e abbondante gli ricorderà che Dio soltanto gli darà la forza di combattere. Egli comincerà a liberare Israele dai Filistei». Sansone inflisse molte cocenti sconfitte ai Filistei, che però grazie a Dalila, una donna di cui Sansone si era innamorato, scoprirono il segreto che lo legava a Dio e gli tagliarono i capelli. Riuscirono così a catturarlo e lo accecarono. Sansone, cieco e debole, trascorse gli ultimi giorni della sua vita facendo girare la macina del grano nella prigione di Qaza.
Un giorno, i capi dei Filistei si radunarono per offrire un grande sacrificio al loro dio Dagon e per far festa. Presi dall’euforia, dissero: «Chiamate Sansone, perché ci faccia divertire». Mandarono a prenderlo dalla prigione. Nessuno notò che i suoi capelli avevano ripreso a crescere.
La folla lo derideva a gran voce. Sansone invocò il Signore e disse: «Signore, mio Dio, ricordati di me! Dammi forza una volta ancora. In un solo colpo mi vendicherò contro i Filistei per tutti e due i miei occhi».
Poi Sansone cercò a tentoni i due pilastri centrali che reggevano l’edificio. Si puntò contro di essi, con la destra e con la sinistra, urlando: «Muoia Sansone con tutti i Filistei!» e poi spinse con tutta la sua forza. L’edificio crollò, travolgendo i capi dei Filistei e tutti gli altri.
La storia di Rut
C’era una volta un giovane e bella donna chiamata Rut: era una donna speciale perché amava molto Dio. Aveva sposato uno straniero che però la lasciò vedova molto presto.
Rut decise allora di andare via e di trasferirsi a Betlemme in compagnia della suocera Noemi, che Rut non voleva assolutamente abbandonare. Le due donne arrivarono in paese ma erano molto povere. Così Rut andava ogni giorno a spigolare nei campi: raccoglieva il grano rimasto per terra e lo adoperava per fare il pane. Quei campi erano di un certo Booz. Costui aveva sentito parlare del grande amore che Rut aveva manifestato nei confronti della suocera.
Booz disse a Rut: «Non andare a raccogliere le spighe nei campi degli altri. Lavora ogni giorno qui». Booz le disse anche che sapeva che cosa Rut aveva fatto per la suocera perciò disse ai suoi operai: «Lasciate dietro di voi un bel po’ di grano per Rut!», e così accadde.
Rut e Booz si sposarono e vissero felici, e tutti se ne rallegrarono e pregarono affinché Dio benedicesse Rut. Poco dopo, Rut ebbe un figlio, che fu chiamato Obed, il futuro padre di lesse, il quale sarebbe diventato il padre di Davide.