Storie

 

E così diventa più chiaro perché Babele è Babele e la Pentecoste è la Pentecoste. Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce.”

” La narrazione della Pentecoste negli Atti degli Apostoli, (At 2,1-11), contiene sullo sfondo uno degli ultimi grandi affreschi che troviamo all’inizio dell’Antico Testamento: l’antica storia della costruzione della Torre di Babele (Gen 11,1-9). Ma che cos’è Babele? E’ la descrizione di un regno in cui gli uomini hanno concentrato tanto potere da pensare di non dover fare più riferimento a un Dio lontano e di essere così forti da poter costruire da soli una via che porti al cielo per aprirne le porte e mettersi al posto di Dio. Ma proprio in questa situazione si verifica qualcosa di strano e di singolare. Mentre gli uomini stavano lavorando insieme per costruire la torre, improvvisamente si resero conto che stavano costruendo l’uno contro l’altro. Mentre tentavano di essere come Dio, correvano il pericolo di non essere più neppure uomini, perché avevano perduto un elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di accordarsi, di capirsi e di operare insieme.

Questo racconto biblico contiene una sua perenne verità; lo possiamo vedere lungo la storia, ma anche nel nostro mondo.  Con il progresso della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare forze della natura, di manipolare gli elementi, di fabbricare esseri viventi, giungendo quasi fino allo stesso essere umano. In questa situazione, pregare Dio sembra qualcosa di sorpassato, di inutile, perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma non ci accorgiamo che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele. E’ vero, abbiamo moltiplicato le possibilità di comunicare, di avere informazioni, di trasmettere notizie, ma possiamo dire che è cresciuta la capacità di capirci o forse, paradossalmente, ci capiamo sempre meno? Tra gli uomini non sembra forse serpeggiare un senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco, fino a diventare perfino pericolosi l’uno per l’altro? Ritorniamo allora alla domanda iniziale: può esserci veramente unità, concordia? E come?

La risposta la troviamo nella Sacra Scrittura: l’unità può esserci solo con il dono dello Spirito di Dio, il quale ci darà un cuore nuovo e una lingua nuova, una capacità nuova di comunicare. E questo è ciò che si è verificato a Pentecoste. In quel mattino, cinquanta giorni dopo la Pasqua, un vento impetuoso soffiò su Gerusalemme e la fiamma dello Spirito Santo discese sui discepoli riuniti, si posò su ciascuno e accese in essi il fuoco divino, un fuoco di amore capace di trasformare. La paura scomparve, il cuore sentì una nuova forza, le lingue si sciolsero e iniziarono a parlare con franchezza, in modo che tutti potessero capire l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto. A Pentecoste dove c’era divisione ed estraneità, sono nate unità e comprensione.

…Pentecoste

Nel l Vangelo Gesù afferma: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv16,13). Qui Gesù, parlando dello Spirito Santo, ci spiega che cos’è la Chiesa e come essa debba vivere per essere se stessa, per essere il luogo dell’unità e della comunione nella Verità; ci dice che agire da cristiani significa non essere chiusi nel proprio «io», ma orientarsi verso il tutto; significa accogliere in se stessi la Chiesa tutta intera o, ancora meglio, lasciare interiormente che essa ci accolga. Allora, quando io parlo, penso, agisco come cristiano, non lo faccio chiudendomi nel mio io, ma lo faccio sempre nel tutto e a partire dal tutto: così lo Spirito Santo, Spirito  di unità e di verità, può continuare a risuonare nei nostri cuori e nelle menti degli uomini e spingerli ad incontrarsi e ad accogliersi a vicenda. Lo Spirito, proprio per il fatto che agisce così, ci introduce in tutta la verità, che è Gesù, ci guida nell’approfondirla, nel comprenderla: noi non cresciamo nella conoscenza chiudendoci nel nostro io, ma solo diventando capaci di ascoltare e di condividere, solo nel «noi» della Chiesa, con un atteggiamento di profonda umiltà interiore. E così diventa più chiaro perché Babele è Babele e la Pentecoste è la Pentecoste. Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce.”

L’attualità della torre di Babele

Oggi stiamo vivendo fenomeni di grande massificazione legati ai mezzi di comunicazione; questi fenomeni ci stanno portando a situazioni di dipendenza da strumenti della tecnica.

Inevitabilmente siamo entrati in uno schema e ne siamo prigionieri.

Ci stiamo dentro e non riusciamo a essere parte di una storia diversa da quella della radio, televisione, cellulari, tablets che costituiscono nel loro insieme una struttura titanica.

Ecco il senso di Genesi 11 sulla Torre di Babele: questo testo non descrive un aneddoto molto antico, ma ci racconta miticamente lo schema che serve per capire quello che capita sempre.

Il mito infatti è un racconto universale che mira a dare il senso dell’esistenza.

I babilonesi vivendo in una grande pianura, senza montagne, e avendo l’idea che gli déi abitassero in alto, sulle montagne, per poter legare le divinità al loro territorio hanno costruito una montagna artificiale: lo ziqurrat.

Lo ziqurrat infatti è una scala, una piramide o torre a sette gradoni; rappresenta il punto di congiunzione fra terra e cielo dove l’uomo sale per arrivare a Dio e Dio scende per incontrare l’uomo.

Il gruppo di ebrei che fu esiliato in Babilonia vide con i propri occhi questa gigantesca costruzione perché era enorme e si vedeva da molto lontano. Era il centro del culto di Babel, sede principale di Marduk, la divinità venerata a Babilonia, che aveva sconfitto Israele e il suo Dio Jahweh. Si tratta quindi di un mito storicizzato, un racconto che va al di là della storia, partendo da un riferimento ben preciso.

A Babel i teologi biblici contrapposero Bet-El (Casa di Dio). Ricordiamo il sogno di Giacobbe (Gen 28,12) nel quale una scala invisibile collega terra e cielo: essa esprime l’atteggiamento di Dio che scende e va incontro all’uomo debole.

Invece, nel caso di Babilonia viene mostrata la pretesa dell’uomo potente di salire, di prendere il potere, di farsi addirittura Dio.

È il tentativo dei dittatori, re, imperatori di usurpare il ruolo divino. Tutti i grandi dittatori si sono montati la testa al punto di credersi Dio. Così è stato per assiri, babilonesi, persiani, ma è quello che è successo anche qui da noi.

Il testo ci mette in guardia su quello che potrebbe capitare in futuro.

Quella grande torre costituiva la prova che Marduk fosse il più forte di tutti e dominasse tutti. Il Dio di Israele non è stato in grado di difendere il suo tempio e la sua città, e i sacerdoti sono stati deportati.

Iahweh è quindi un debole e Marduk è il più forte e l’imperatore babilonese è il braccio armato del Dio più forte che ci sia e che quindi ha diritto di schiacciare tutti gli altri.

La storia della torre di Babele contiene un mito che mostra il grave problema della prepotenza umana, sociale e politica. L’obiettivo dei costruttori della torre è toccare il cielo per impossessarsene.

Raccontato con altre immagini è lo stesso peccato di chi ha voluto mangiare dell’albero della “conoscenza del bene e del male”: si chiama bramosia del potere esercitato sugli altri attraverso il controllo (oggi telematico) su tutto ciò che accade; è il dominio della comunicazione a-personale o impersonale.

(Gen 11,1) Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole: cioè tutti avevano la stessa mentalità di rivolta nei confronti di Dio.

(Gen 11,5) Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano facendo

(Gen 11,7) Scendiamo dunque e confondiamo le loro lingue, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro.

 

La discendenza d’Abramo, ovvero la genealogia di Gesù, ha un’importanza fondamentale nella storia del Cristianesimo e può essere considerata un compendio dell’intera storia del popolo ebraico. Scopriamo perché.

Perché nel primo libro del Vangelo di Matteo e nel terzo del Vangelo di Luca per introdurre la storia di Gesù vengono riportate rispettivamente la discendenza di Abramo, che parte da lui per giungere a Gesù, e una ancora più vasta genealogia che affonda le sue origini nella figura di Adamo? La ragione è semplice. All’epoca in cui sono stata scritti i Vangeli era ancora considerato di massima importanza contestualizzare i fatti di cui si voleva parlare in una cornice storica documentata che avesse solide fondamenta e che non potesse essere messa in dubbio.

 

Gesù parte della storia del popolo ebraico

Iniziare la storia di un personaggio elencando la sua genealogia era tipico soprattutto del mondo orientale. Nel caso dei Vangeli, poi, la necessità di creare intorno alla figura di Gesù Cristo una base storica che lo collegasse in modo incontestabile alla storia del popolo ebraico, appare ancora più evidente. Grazie a queste due genealogie Gesù diventa parte integrante della storia dell’Ebraismo e dei suoi tre grandi Padri: Abramo, Mosè e Davide. Per i cristiani che provenivano dall’ebraismo era fondamentale poter inserire la figura di Gesù all’interno della storia del loro popolo e dei Padri. Era anche un modo per sostenere la pretesa della comunità cristiana di riconoscere Gesù come il Messia. Non è un caso se in entrambe le genealogie Giuseppe non viene presentarlo come padre biologico di Gesù, ma come padre adottivo. Ai due evangelisti occorreva creare una parentela tra il Messia e Re Davide, ricollegandosi con la profezia del profeta Isaia:

“Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo Spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. (…) Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leonello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà” (Is 11,1-10)

Iesse, o Jesse era il padre di Re Davide.

 

Ma c’è di più. Tanto Matteo quanto Luca indicano Gesù come compimento della storia dell’Alleanza e della promessa di Salvezza intercorsa tra Dio e l’uomo. Per Matteo questa storia ha inizio con Abramo, per Luca coincide con la nascita stessa dell’umanità, incarnata da Adamo.

Va detto che Matteo si rivolgeva soprattutto ai GiudeoCristiani, e per questo porre all’inizio della genealogia Abramo, considerato il Padre del Popolo Eletto, è un modo per rimarcare la continuità tra ebraismo e Cristianesimo.

Luca invece si rivolgeva anche a cristiani di origine pagana, che non avevano conosciuto le tradizioni del mondo ebraico. Per questo fa risalire l’origine di Gesù ancora più indietro, ad Adamo, che lui definisce Figlio di Dio, inserendo la figura di Gesù in un contesto più ampio, che fa riferimento alle diverse dinastie giudaiche e ai dieci patriarchi antidiluviani (Adamo, Set, Enos, Cainan, Maalaleèl, Iared, Enoc, Matusalemme, Lamec, Noè) e ai dieci postdiluviani (Sem, Arpacsad, Selach, Eber, Peleg, Reu, Serug, Nacor, Terach, Abramo).

Ebraismo e cristianesimo differenze

Tutta questa preoccupazione da parte di Matteo di valorizzare la discendenza di Abramo fino a Gesù, e di Luca di andare perfino oltre, affondando nelle radici stesse dell’umanità, ci ricollega alle differenze tra  ebraismo e cristianesimo. Per un Cristiano è scontato pensare a Gesù come figlio di Dio, poiché tutta l’educazione religiosa che riceve fin da piccolo verte proprio su questa Sua ineluttabile identità. Per gli Ebrei di oggi, e ancora di più per quelli del tempo in cui gli evangelisti scrivevano, Gesù era stato un semplice profeta.

Dunque era di importanza fondamentale per convertire gli ebrei al cristianesimo nobilitare il più possibile anche la Sua figura terrena, in modo da renderlo riconoscibile come il Messia tanto atteso. Se la religione cristiana comincia con Gesù, quella ebraica inizia con Abramo, il primo uomo a cui Dio si è rivolto. L’alleanza tra Dio e gli uomini, sempre secondo gli ebrei, si approfondì poi grazie a Mosè che ricevette da Dio i Dieci Comandamenti, guida di vita e fede. Ancora oggi onorare e perseguire il proprio rapporto con Dio attraverso lo studio e la preghiera, ricollegandosi a quanto fatto di prima di lui, è uno dei doveri fondamentali di ogni uomo ebreo. Ecco un’altra conferma dell’importanza delle genealogie di Matteo e Luca.

 

Abramo nostro Padre nella Fede

Abramo mostra la propria fede soprattutto obbedendo a Dio. L’obbedienza presuppone l’ascolto, perché è necessario, prima di ogni altra cosa, “prestare orecchio”, vale a dire, conoscere la volontà dell’altro per dargli una risposta e compierla. Nella Sacra Scrittura obbedire non è soltanto “eseguire” meccanicamente l’ordine: richiede anche un atteggiamento attivo, che mette in gioco l’intelligenza davanti a Dio che si rivela e che invita la persona ad aderire alla volontà divina con tutte le forze e le capacità. «Non appena Dio lo chiama, Abramo parte “come gli aveva ordinato il Signore” (Gn 12, 4): il suo cuore è tutto “sottomesso alla Parola”; egli obbedisce».

L’obbedienza che proviene dalla fede va molto al di là della pura disciplina: presuppone la libera e personale accettazione della Parola di Dio. Lo stesso accade anche in molti momenti della nostra vita quando possiamo accogliere questa Parola o rifiutarla, permettendo che le nostre idee prevalgano su ciò che Egli vuole. L’obbedienza della fede è la risposta all’invito di Dio all’uomo di camminare accanto a Lui, a vivere in amicizia con Lui. «Obbedire nella fede è sottomettersi liberamente alla Parola ascoltata, perché la sua verità è garantita da Dio, il quale è la Verità stessa. Il modello di questa obbedienza propostoci dalla Sacra Scrittura è Abramo. La Vergine Maria ne è la realizzazione più perfetta».

 

Con fiducia e abbandono in Dio

Quando riflettiamo sulla vita di Abramo, ci accorgiamo che la fede è presente in tutta la sua esistenza, ma appare evidente soprattutto nei momenti di oscurità, nei quali le certezze umane vengono meno. La fede implica sempre una certa oscurità, un vivere nel mistero, sapendo che non si arriverà mai a ottenere una spiegazione perfetta, una comprensione perfetta, perché altrimenti non sarebbe più fede. Scrive l’autore della Lettera agli Ebrei: La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. La mancanza di certezza della fede è superata dalla fiducia del credente in Dio; per fede il patriarca si mette in cammino senza sapere dove va, ma questa è soltanto la prima occasione in cui dovrà mettere in gioco questa virtù. Infatti, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, è necessario confidare molto in Dio per vivere «come straniero e pellegrino nella Terra promessa» e per affrontare il sacrificio del figlio:

Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò.

La fede di Abramo appare in tutta la sua grandezza quando si dispone a rinunciare a suo figlio Isacco. Il sacrificio del proprio figlio è profezia della donazione di Cristo per la salvezza del mondo. È cosa talmente tremenda da non aver bisogno di alcun commento. Comunque, Abramo non si ribella a Dio, non si mette a discutere, non dubita: si fida di Lui. Si mette in cammino, rimane in ascolto della voce del Signore e, alla fine del viaggio verso il monte Moria, scopre che non vuole il sangue di Isacco:

Abramo e il sacrificio di Isacco

L’angelo disse: Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio. […] Abramo chiamò quel luogo “Il Signore provvede”, perciò oggi si dice: “Sul monte il Signore provvede”.

Perché Gesù è chiamato «figlio di Davide»?

Dio promette a Davide che il Messia sarebbe nato nella sua dinastia; Giuseppe è discendente di Davide. Perché nascendo solo da Maria, per opera dello Spirito Santo, Gesù viene chiamato «virgulto di Iesse», che è il padre di Davide?Secondo le speranze ebraiche al tempo di Gesù, il Messia liberatore doveva essere un discendente del grande Re. … Da qui ad arrivare a chiamare il Messia “figlio di Davide” ce ne vuole poco. Ci furono altre speculazioni messianiche ma quest’ultima prevalse.

Diciassette versetti nel Nuovo Testamento descrivono Gesù come “figlio di Davide.” Sorge però spontanea la domanda: come poteva essere Gesù il figlio di Davide se Davide visse approssimativamente 1000 anni prima di Gesù? La risposta è che Cristo (il Messia) fu la realizzazione della profezia riguardo alla discendenza di Davide (2 Samuele 7:12-16). Gesù era il Messia promesso e ciò significa che Egli apparteneva alla progenie di Davide. Matteo 1 fornisce la prova genealogica che Gesù, nella Sua umanità, era discendente diretto di Davide attraverso Giuseppe, il padre legale di Gesù. La genealogia in Luca capitolo 3 dà invece il lignaggio di Gesù attraverso Sua madre, Maria. Gesù è un discendente di Davide per adozione attraverso Giuseppe, e di sangue attraverso Maria. Primariamente, tuttavia, quando si fa riferimento a Cristo Quale figlio di Davide, ci si sta riferendo al Suo titolo messianico, come profetizzato su di Lui nell’Antico Testamento.

Il legame tra il Messia e il re Davide

Gesù venne chiamato “Signore, tu figlio di Davide” diverse volte da persone che, per fede, cercavano misericordia o guarigione. La donna la cui figlia era tormentata da un demone (Matteo 15:22), i due uomini ciechi ai bordi della strada (Matteo 20:30) e Bartimeo il cieco (Marco 10:47), tutti invocarono il figlio di Davide per aiuto. I titoli d’onore a Lui dati, dichiaravano la fede di questa gente in Lui. ChiamarLo “Signore” esprimeva la loro intuizione della Sua divinità, del Suo dominio e del Suo potere, e chiamandoLo “figlio di Davide,” stavano professando che Lui era il Messia.

Anche i farisei capivano che cosa si intendesse quando sentivano la gente chiamare Gesù “Figlio di Davide”, ma a differenza di coloro che Lo invocavano in fede, essi erano così accecati dal loro stesso orgoglio e dalla mancanza di comprensione delle Scritture che non potevano vedere ciò che i mendicanti ciechi erano in grado di vedere – ovvero che avevano di fronte il Messia Che apparentemente avevano aspettato per tutta la vita. Essi odiavano Gesù perché Lui non avrebbe dato loro l’onore che credevano di meritare. Così, quando sentirono la gente acclamare Gesù come Salvatore, si arrabbiarono (Matteo 21:15) e progettarono di distruggerLo (Luca 19:47).

Gesù inoltre confuse gli scribi e i farisei chiedendo loro di spiegargli il significato di quello stesso titolo. Com’era possibile che il Messia fosse il figlio di Davide quando Davide stesso si riferiva a Lui come “mio Signore” (Marco 12:35-37)? Naturalmente gli esperti della legge non potevano rispondere a questa domanda. Gesù così espose l’inettitudine dei capi religiosi ebrei come esperti e la loro ignoranza in merito a ciò che l’Antico Testamento insegnava riguardo alla vera natura del Messia, allontanandoli ancora di più da Sé.

Gesù Cristo, l’unico figlio di Dio e l’unico mezzo per la salvezza del mondo (Atti 4:12), è anche il figlio di Davide, sia in senso fisico che spirituale.

Gesù Cristo è l’unico Salvatore del mondo e la Chiesa è uno strumento di salvezza per tutta l’umanità

Nella Bibbia è scritto chiaramente che il Signore Gesù è Cristo, il Figlio di Dio, e tutti coloro i quali credono nel Signore credono anche che il Signore Gesù sia Cristo, il Figlio di Dio. Tuttavia, voi rendete testimonianza che il Cristo incarnato è la manifestazione di Dio, che Egli è Dio Stesso. Allora il Cristo incarnato è davvero il Figlio di Dio oppure è Dio Stesso?

L’Unico

Gesù Cristo spesso viene paragonato ad altri profeti e maestri, ma Lui è la persona più straordinaria che sia mai esistita. Tutto, dalla sua nascita alla sua morte, è stato miracoloso, e lo distingue dagli altri. Gesù è nato da una vergine: una cosa soprannaturale e impossibile naturalmente. Prima che sua madre Maria si sposasse, le venne annunciato da un angelo che avrebbe dato alla luce il Figlio di Dio. Quando lei gli chiese come potesse essere possibile, lui rispose: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, e la potenza dell’Altissimo stenderà la sua ombra su di te. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio”. Proprio come promesso, la vergine Maria diede alla luce Gesù Cristo, la persona più straordinaria che sia mai esistita..

Una vita straordinaria

La vita di Gesù fu straordinaria proprio come la sua nascita. A 30 anni, si recò per le città di Israele e iniziò a insegnare e guarire le persone. La Bibbia racconta che Lui era diverso dagli altri predicatori, perché “La gente si stupiva dei suoi insegnamenti, perché egli insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi”. Allo stesso modo, non esisteva malattia che non potesse guarire. Dice: ” condussero a lui tutti quelli che stavano male, afflitti da varie malattie e tormenti; e Lui li guarì”. Minacciate dalla sua fama e dalla sua autorevolezza, le autorità politiche e religiose cospirarono per ucciderlo.

Una morte improvvisa

La sua morte fu predetta migliaia di anni prima. Il profeta Isaia scrisse di Gesù: “fu ferito per le nostre trasgressioni e colpito per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la nostra pace è caduto su di lui, e dai suoi lividi noi siamo stati guariti”. Gesù pagò la pena per i nostri peccati in modo che potessimo essere perdonati e avere la vita eterna. Proprio come predetto, a Gesù venne predestinata la morte più brutale di quel giorno per aver sostenuto di essere il Figlio di Dio. Appeso alla croce di legno, con chiodi nelle mani e piedi, pregò: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Gesù aveva il potere per scendere dalla croce, ma ha scelto di sacrificare la sua vita per gli altri.

La promessa è per voi

Proprio come promesso, Dio fece risorgere Gesù alla vita (vita eterna) il terzo giorno dopo la sua sepoltura. Fu visto dai suoi amici più cari e da oltre 500 seguaci prima di andare in paradiso. Dopo la sua risurrezione, il suo amico più caro, Pietro, disse a una grande folla di pentirsi per i propri peccati e di credere in Gesù Cristo per essere salvati: “Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, e quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro”. La promessa è per voi! Esistono molte religioni e profeti, ma nessuno tranne Gesù Cristo offre il perdono completo dei tuoi peccati e la vita eterna con Dio. È già morto per i tuoi peccati, ora devi solo avere fede in Lui. “Poiché se confessi con la tua bocca il Signore Gesù, e credi nel tuo cuore che Dio Lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato”. Se credi in Gesù, puoi pronunciare sinceramente una preghiera come questa proprio adesso e ricevere il dono della vita eterna.

Ricevilo adesso!

“Signore Gesù, credo che tu sei il Figlio di Dio e il Salvatore del mondo. Grazie per essere venuto in terra e per essere morto consentendomi di avere la vita eterna. Ti prego perdona tutti i miei peccati. Ti seguirò per tutta la vita. Ti prego colmami del tuo Spirito Santo e dirigi il mio cammino. Per Cristo nostro Signore, amen”.

Tu adesso appartieni a Gesù Cristo il DIO vero e vivente, e qualsiasi cosa accadrà nella tua vita Egli sarà sempre con te e nessuno potrà rapirti da Lui. Egli ha detto: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono; “e io do loro la vita eterna e non moriranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle dalla mano del Padre. (Vangelo di Giovanni 10:27,29) Studio Biblico