07 Gen2021
Pubblicato da Franco nella categoria Uncategorized
“E VOI, CHI DITE CHE IO SIA?”
CRISTO, IL “TUTTO” DELL’AMORE E DELLA GIOIA
Ringrazio di poter testimoniare, seppure con poche parole, chi sia Gesù per me, anche se lo farò con una certa difficoltà. Non viene spontaneo, infatti aprire il proprio cuore a chiunque, su una rivista. ma ho imparato che: «È bene tener nascosto il segreto del re, ma è cosa gloriosa rilevare e manifestare le opere di Dio» (Tb 12,7).
Mi sforzerò, quindi, di farlo per la gloria di Dio e in omaggio al terzo millennio cristiano che avanza e che stiamo preparando quest’anno proprio in compagnia di Gesù, come il Santo Padre ci ha invitato a fare. Gesù per me è, o desidero ardentemente che sia, “tutto”. “Tutto” perché per me non c’è altro fuori di Lui, in quanto tutto è in Lui. «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3, 22-23). Gesù per me è ancora “l’Amore”. È stato ed è la manifestazione, la personificazione, l’incarnazione di Dio che è Amore. L’ho scoperto poi tale perché, grazie al Cielo, in qualche modo m’ha rubato il cuore. Anni fa scrivevo queste parole che potrei ripetere oggi: «Ti voglio bene/non perché ho imparato a dirti così,/non perché il cuore mi suggerisce questa parola,/non tanto perché la fede mi fa credere che sei amore,/nemmeno soltanto perché sei morto per me. Ti voglio bene/perché sei entrato nella mia vita/più dell’aria nei miei polmoni,/più del sangue nelle mie vene./ Sei entrato dove nessuno poteva entrare/quando nessuno poteva aiutarmi/ogniqualvolta nessuno poteva consolarmi. Ogni giorno ti ho parlato./ Ogni ora ti ho guardato/e nel tuo volto ho letto la risposta,/nelle tue parole la spiegazione,/nel tuo amore la soluzione. Ti voglio bene/perché per tanti anni hai vissuto con me/ed io ho vissuto di Te./Ho bevuto alla tua legge/e non me n’ero accorta. Me ne sono nutrita, irrobustita,/mi sono ripresa,/ma ero ignara/come il bimbo che beve dalla mamma/e ancor non sa chiamarla/con quel dolce nome. Dammi d’esserti grata/ – almeno per un po’ – /nel tempo che mi rimane,/di questo amore che hai versato su di me,/e m’ha costretta a dirti:/ti voglio bene».
«Ho letto… nelle tue parole la spiegazione».
Sì, sono state le parole di Gesù a rivelare me a me stessa con tutto quanto mi concerne ed a rivelarmi Lui, a farmi penetrare nel suo mistero. Tutte le parole di Gesù mi hanno affascinato, le ho sentite mie. Ma due, in particolare, hanno segnato la mia strada e quella di quanti l’hanno seguita nel Movimento dei Focolari, che ne è poi nato: «Che tutti siano uno» e «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Radunateci un giorno in una cantina, per ripararci dai pericoli della guerra, avendo aperto il Vangelo a caso, ci siamo trovate di fronte la solenne preghiera di Gesù al Padre. «Padre Santo – abbiamo cominciato a leggere -, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi» (Gv 17,119, e abbiamo avuto l’impressione di penetrare quel brano difficile per la nostra preparazione. Ma soprattutto abbiamo avvertito la certezza che eravamo nate per quella pagina del Vangelo. La sentivamo la “magna charta” del nuovo Movimento. Eravamo, dunque, chiamate a realizzare il testamento di Gesù, l’unità. Ma come?
Già all’inizio di questa mia e nostra avventura, in una circostanza prevista – penso – da Dio, siamo venute a conoscenza che Gesù aveva sofferto il massimo dolore, un’angoscia infinita, quando in croce, sentendosi abbandonato dal Padre, aveva gridato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). Siamo state profondamente toccate da questo fatto. E per la giovane età, nell’entusiasmo, ma soprattutto per una grazia di Dio, noi, prime focolarine, abbiamo deciso di seguirLo proprio così, nel suo abbandono in croce.
Da allora abbiamo scoperto nei vari dolori presenti nel mondo, ma soprattutto in quelli provocati dalle varie disunità, dalle separazioni, dai traumi, il volto di Lui Abbandonato. Dalla disunità intima della nostra anima con Dio, da quella dei prossimi con Dio, dei fratelli fra loro; a quelle che turbano le nostre comunità non sempre compatte, alle divisioni in seno alla Chiesa, alla cristianità tutta, al mondo religioso, al mondo intero. Il nostro impegno è stato quello di lavorare a risolvere tutte queste disunità… Per quanto riguarda la poca unità della nostra anima con Dio, con vari stati d’animo dolorosi, ci sforzavamo e ci sforziamo di andare in fondo al cuore per scoprire ed amare in essi il Crocifisso abbandonato. E il più delle volte nell’incontro con Lui il dolore passa e torna la gioia. Ed è, quella, la gioia dell’unità. Gioia che ho, che abbiamo sperimentato e stiamo sperimentando abbondantemente anche nella ricomposizione di tante altre disunita. Per cui posso dire, possiamo dire, che Gesù per noi è oltre che “tutto”, oltre che “amore”, anche la “gioia”, la gioia della nostra vita. Gioia che, attraverso il Movimento, è seminata ora, a piene mani nel mondo. Oggi alcuni milioni di persone la conoscono, ma non hanno pace finché non sarà donata a tanti e tanti. Gli uomini hanno cercato sempre la felicità e la cercano tuttora, ma spesso nelle poche e povere gioie della vita, se non nel consumismo che li avviluppa, persino nella droga o nell’alcool che li distrugge, nell’edonismo che li sfigura, nella TV, nelle compagnie dubbie… E ciò perché, in genere, essi non sanno che esiste la vera felicità. Ed è quella di Gesù, quella che Egli ha promesso e per cui ha pregato: «Perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17,13), ha detto. Che Gesù diventi “il tutto”, “l’amore”, “la gioia” di tutti!
(Cenni biografici – Chiara Lubich è nota, in Italia e all’estero, soprattutto quale Fondatrice del Movimento dei Focolari. Profondamente inserita nella vita ecclesiale, nel cammino ecumenico e nel dialogo interreligioso, ha ottenuto vari riconoscimenti in campo nazionale e internazionale. Ha scritto numerosi libri tradotti in oltre venti lingue. La più ampia raccolta delle sue opere è quella degli Scritti Spirituali, in 4 vol.: L’attrattiva del tempo moderno; L’essenziale di oggi; Tutti uno; Dio è vicino. Tra le pubblicazioni più recenti: Parola che si fa vita; Cristo dispiegato nei secoli; Scrivere il Vangelo con la vita , con testimonianze da tutto il mondo.)
PREGHIERA DI INTERCESSIONE
Roma, 12 aprile 1984. Un invito alla vera gioia, quella che nasce dall’amore e che è segno distintivo dei cristiani.
La gioia dei primi cristiani (come del resto quella dei cristiani di tutti i secoli, là dove il cristianesimo è compreso nella sua essenza e vissuto nella sua radicalità), la gioia dei primi cristiani era una gioia nuova, mai conosciuta fino allora. Non aveva niente a che fare con l’ilarità, con il buonumore, con l’allegria. Né era semplicemente “la gioia esaltante dell’esistenza e della vita” – come direbbe Paolo VI – né “la gioia pacificante della natura e del silenzio”, né la gioia o “la soddisfazione del lavoro compiuto”, né solamente “la gioia trasparente della purezza” o quella “dell’amore casto”… tutte gioie belle. Ma quella dei primi cristiani era diversa: era una gioia simile a quell’ebbrezza che aveva invaso i discepoli alla discesa dello Spirito Santo. Era la gioia di Gesù.
Perché Gesù, come ha la sua pace, così ha la sua gioia. E la gioia dei primi cristiani, sgorgata spontanea dal fondo del loro essere, saziava completamente il loro animo.
Essi avevano trovato veramente ciò di cui l’uomo di ieri, d’oggi, di sempre va in cerca: Dio che – come abbiamo visto – lo soddisfa pienamente. Avevano trovato la comunione con Dio, elemento essenziale alla loro piena realizzazione.
Erano uomini. L’amore, infatti, la carità, di cui Cristo attraverso il battesimo e gli altri sacramenti arricchisce il cuore dei cristiani, si può raffigurare a una pianticella. Più essa affonda le radici nel terreno della carità fraterna (più cioè gli uomini amano i propri fratelli), più il fusto svetta verso il cielo: più cresce nel cuore l’amore verso Dio, la comunione con Lui, non creduta solo per fede, ma sperimentata. E questa è felicità: si ama e ci si sente amati. Questa era la felicità dei primi cristiani adulti e giovani, che si sprigionava in liturgie festose, traboccanti di inni di lode e di ringraziamento.
Gioia, che cresceva nel cuore anche per il fatto che con l’amore e per l’amore avevano la luce. Essi “vedevano”, avevano una certa comprensione delle cose di Dio di per sé impenetrabili. I misteri, se erano accettati da loro per fede, non erano così oscuri come si può pensare. C’era in loro una qualche penetrazione di essi così saporosa, così luminosa d’aver impressione di comprenderli, di possederli. E ciò esaltava ancor più la loro gioia: s’aggiungeva, alla gioia dell’amore, quella della verità. Così, armati solamente di amore e di luce, e vestiti di gioia, s’erano diffusi in breve tempo nel mondo allora conosciuto: “Siamo di ieri – diceva Tertulliano – e abbiamo già invaso il mondo”.
Essi godevano persino delle persecuzioni e cantavano nel martirio. Avevano infatti compreso un paradosso del cristianesimo: la gioia, la soprannaturale gioia di Cristo, si trova proprio dove la gioia non c’è: nel dolore. Ma nel dolore amato.